PRIMO STUDIO – IL NARCISISMO DI UNA DONNA. Un’ipotesi junghiana.

di Simona Massa (per il Gruppo Afrodite)
Per approfondire si veda http://aipatoscana.it/wp-content/uploads/2019/06/E-venti-n.-1-completo.pdf


Questo studio è stato presentato a Firenze nell’ambito dei Sabati Culturali della Sezione Toscana dell’AIPA il 3 e il 31 marzo 2012, e successivamente pubblicato sulla rivista interna della Sezione E-venti, n. 1, 2013.


 

– La femminilità, una strada individuativa.

La femminilità soggettiva è frutto della combinazione unica e irripetibile di queste determinanti: la storia personale, la dimensione collettiva dell’inconscio archetipico e le immagini collettive socio-culturali della femminilità relative al tempo storico in cui viviamo.

La nostra ipotesi è la seguente: qualora tali ‘modelli’, sia interni che esterni, non si umanizzino – ovvero non entrino nella ridefinizione di un processo individuativo che li conduca dentro la soggettività di un essere umano, di una donna in tal caso – e dunque, qualora la soggettività venga appiattita dentro tali modelli, fino ad annullarla in essi, allora avviene una catastrofe psichica. La possessione da parte del mondo archetipico interno o del mondo collettivo esterno, o una pericolosissima sommatoria di entrambe, producono lo stesso effetto devastante: diventiamo formule vuote, ci annulliamo nel mondo glaciale delle idee e delle idealizzazioni. La dea, ovvero l’immagine archetipica, che dovrebbe ‘ispirare’ dall’interno il processo individuativo della femminilità e manifestarsi, rendersi visibile in maniera allusiva, nella soggettività di ogni donna, perde il volto, esattamente quel volto che ogni donna abita soggettivamente e umanamente. Non più Afrodite, dai molteplici volti, i nostri, ma una dea senza volto, irrappresentabile, o sclerotizzata in una maschera sempre uguale. I trattamenti chirurgi estetici che hanno stravolto il volto di tante donne si sono ispirati a una maschera di femminilità, a uno stereotipo grottesco, piuttosto che al volto umano unico e irripetibile su cui andavano a intervenire.

 

– Differenziarsi dalla madre. Una nuova nascita.

La ricerca sui processi individuativi della femminilità ci ha portato necessariamente a indagare le implicazioni profonde della relazione madre-figlia. Infatti, la figura materna si costituisce come l’originario nucleo, la madre-matrice, da cui l’identità della figlia dovrà progressivamente differenziarsi. Dalle nostre esperienze cliniche sappiamo come il narcisismo ferito della madre possa ostacolare il processo individuativo della bambina, e ricadere sulla sua psiche in formazione con diversi gradi di interferenza patogena.

Per accedere al mondo ed essere capaci di creare rapporti sufficientemente sani, dobbiamo a poco a poco sciogliere la dualità simbiotica originaria con la figura materna, necessaria, al principio, per garantire la sopravvivenza psico-fisica del neonato. Si tratta di una nuova nascita, oltre quella del parto, quella che sancisce la nostra presenza al mondo come identità separata.

La bambina, per una madre con problemi nell’area dell’autostima, può rappresentare una superficie rispecchiante, piuttosto che un’alterità differenziata, a cui delegare il risarcimento di ferite narcisistiche e un progetto di compensazione rispetto a mancate realizzazioni o a sentimenti di autosvalutazione.

Cercando di mettere a fuoco le contaminazioni distruttive del narcisismo materno, abbiamo scelto di analizzare due film1, molto lontani tra loro nel tempo ma non nella tematica di fondo – che sembrano rappresentare i due versanti, nevrotico e psicotico, del “tremendo” che a volte abita la relazione inconscia madre-figlia.


  1. zNei film in questione, abbiamo riscontrato una ‘emblematicità’ della rappresentazione psichica, che ci permette di sconfinare dalla specificità del caso clinico, e di poter tratteggiare, a nostra volta, una interpretazione del tema di più ampio respiro.

            

Bellissima di L. Visconti, 1951      Il cigno nero (Black Swan) di D. Aronofskj, 2010

Questi film mettono in scena le due possibili declinazioni di questo dramma psichico. In essi sono affrescate le infinite sfumature che possono tratteggiare il difficile equilibrio di speranze, ambizioni e desideri nella relazione inconscia madre-figlia.

In Bellissima (L. Visconti, 1951), la figlia è nella mente della madre come un tu ancora simbiotico ma già differenziato, di cui è in grado di riconoscere i sentimenti. La madre vede l’umiliazione a cui ha esposto la figlia, nel cieco furore del suo bisogno di affermarsi attraverso di lei, ha pietà e accede di nuovo alla sua funzione tutelante. Siamo nell’ambito di una contaminazione narcisistica di tipo nevrotico, dove la strumentalizzazione della madre a carico della figlia esiste, è fortemente disturbante ma non minaccia la struttura dell’apparato psichico.

In Black Swan (D. Aronofskj, 2010) siamo al di qua della separazione, la figlia non è un tu differenziato, è appena un’appendice narcisistica utilizzata machiavellicamente dalla madre come mezzo per raggiungere un fine. Siamo decisamente nell’ambito della perversità relazionale. Infatti, quando la figlia osa diventare un tu separato, viene odiata in quanto tale, in quanto vive per se stessa il fine che la madre le ha delegato. Di particolare interesse è stato per noi la valutazione del ruolo che può avere l’invidia in questo gioco relazionale.

Madri che non possono accedere al lutto della propria grandiosità narcisistica trattengono le figlie in una relazione incestuale, dove condividono e affidano alla figlia il proprio sé grandioso che non deve essere minacciato né dalla separazione, né dal tempo che passa, né dal principio di realtà. In sintesi, dalla presenza del Terzo.

 

– Una dea senza volto o gli innumerevoli volti umani di una dea.

Secondo Ovidio, “Non c’è un sol genere di adornamento; quello che a ognuna starà bene/quello scelga e consulti prima il suo specchio.” (Ars Amatoria, III, 135-136). Con queste parole il poeta esprime l’idea che la bellezza e il reale potere seduttivo di una donna siano legati al rispetto della sua individualità, e dunque alla visione della sua identità, alla presa d’atto e di coscienza del proprio volto, che solo in seconda istanza potrà essere adornato adeguatamente, non secondo la moda collettiva, ma in armonia col Sé. È incredibilmente efficace dal punto di vista psicologico l’espressione “consulti prima il suo specchio”: è un invito a rivolgersi alla propria coscienza riflettente la visione di se stessa nell’unità di anima e di corpo, a rispettare la dignità di tale visione, e a riconoscere in essa l’unicità del volto umano.

In Pasolini, la poetica cinematografica è spesso affidata ai primi piani stretti e inchiodati sull’intensità dei volti, ed è “il volto umano, luogo d’incontro di energie ineffabili che esplodono nell’espressione, cioè in qualche cosa di asimmetrico, di individuale, di impuro, di composito, insomma il contrario del tipico”1.

Se viene tradita e umiliata dalle tendenze e dalle paure collettive l’unicità umana e imperfetta dell’identità di ogni donna, al posto di Afrodite, la dea che spumeggia dentro ognuna di noi con i mille volti di una soggettività connessa alle diversificazioni della vita, al politeismo della psiche, si impone invece il monoteismo, monolitico e mortifero, oltre che mortificante, di “una dea senza volto”, perché negata, e quindi irrappresentabile è l’umanità in cui dovrebbe incarnarsi.


  1. A.Moravia, Recensione a “Il vangelo secondo Matteo”, di Pier Paolo Pasolini, L’Espresso, 4 ottobre,1964.
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SIMONA MASSA

Psicologa, psicoterapeuta e psicologa analista junghiana (AIPA, IAAP).
Nella vita ho percorso parallelamente due sentieri, che rispecchiano le mie passioni principali e il mio processo di umanizzazione:
la psicologia del profondo e la scrittura.

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