TERZO STUDIO – IL SEME DELLA BELLEZZA

di Simona Massa (per il Gruppo Afrodite)
Per approfondire si veda http://aipatoscana.it/wp-content/uploads/2019/06/N.-2-completo.pdf

 “La bellezza salverà il mondo.”
Fëdor Dostoevskij
“… Se il mondo salverà la bellezza.”
Salvatore Settis

– Una nuova idea di bellezza.

Nel 2015, nella città di Firenze, il Gruppo Afrodite realizza, nell’ambito della Sezione Toscana dell’AIPA, un convegno dal titolo Il seme della bellezza (AIPA Sezione Toscana, 24 gennaio 2015, Biblioteca delle Oblate, Firenze).
La bellezza, nella cultura tradizionale, è una prerogativa del femminile, uno dei fondamenti della sua identità. Purtroppo, nella dominanza del potere maschile, la bellezza si è trasformata in un’arma che si rivolge contro la donna. È diventata, più che un suo specifico potenziale nella funzione dell’anima, una forma di ossessione che dura tutta la vita, dalla nascita alla vecchiaia, rendendola preda di speculazioni economiche e di umiliazioni narcisistiche, sia a livello personale che collettivo.
Come abbiamo evidenziato nel primo studio del Gruppo Afrodite, spesso il mandato inconscio della madre alla figlia è di riparare il suo narcisismo ferito, chiedendole di essere bella e perfetta. Il movimento femminista, nelle sue varie connotazioni, ha rifiutato questa forma di identificazione tra il valore di una donna e la sua bellezza, peraltro giudicata con parametri alieni rispetto alla sua specifica individualità. Questo è stato un passaggio storicamente necessario per liberare la donna da questa strettoia esistenziale e darle la possibilità di annettere alla propria identità altri parametri in ambito intellettuale e creativo.
Crediamo, tuttavia, che il processo individuativo della femminilità non possa evitare il confronto con il valore della bellezza, intesa come funzione psichica e non come specchio del desiderio dell’altro. Perché, dunque, non riappropriarsi di un contenuto che ha radici nei fondamenti archetipici dell’essere donna? Che ha radici nei fondamenti archetipici dell’Anima. Le nostre dee fondatrici esprimono e custodiscono un’idea archetipica di bellezza che va svincolata dalla riduzione a “oggetto del desiderio” per ridefinirla come funzione di relazione, come “apertura”. Le donne sono profondamente radicate in questo tipo di energia, che non le si dovrà più rivolgere contro.
Il seme della bellezza allude idealmente alla rinascita del mondo trasfigurato, restaurato nel nome di una nuova umanità, che sceglie, nelle traversie del destino individuale e collettivo, ogni volta, la vita.
Vita, amore e bellezza sono energie indissolubilmente congiunte e – la storia umana lo testimonia – costantemente avversate dalla distruttività. La bellezza è sacralità nel senso più laico del termine, la sacralità di tutto ciò che attiene alla vita, non solo le cose, ma gli atti e i gesti relazionali. Non oggetti di bellezza, ma atti di bellezza, la cura della gestualità relazionale, che esprima gioia o dolore, apertura o chiusura. La bellezza è un seme che proviene dalla trascendenza, oltre la nostra egoicità, viatico della totalità, motore del mondo e aspirazione suprema. Seme divino che risorge ogni volta nell’umano, e che infinitamente in esso si declina, come ogni seme nella terra.
Con questo evento abbiamo voluto contribuire a una politica di diffusione della cultura della bellezza, intesa come educazione della psiche alla visionarietà del bello.

 

– Lo sguardo oltre le cose.

Simona Massa interviene al convegno, Il seme della bellezza, con una relazione: “Salomè. Il disvelamento della bellezza”. 1
Il sorriso della Gioconda sembra nascere dalla visione illuminata di una cosmica scena primaria in cui le due energie fondamentali dell’universo, maschile e femminile, tornano e ritornano a congiungersi per diffondere, innumerevoli, i semi della bellezza.
Il seme della bellezza nasce innanzitutto nello sguardo, non può essere “cosificato” dentro le cose belle. La bellezza non è solamente fiori, farfalle e altre amenità. È in ogni cosa che lo sguardo trasfiguri e conduca oltre la reificazione, oltre la sua funzione evidente, verso il suo irraggiamento simbolico, in un gioco di rimandi reciproci tra le cose e il loro altrove, l’altrove e le cose.
Tuttavia, nel nostro spirito del tempo, la crescita di una persona è spesso la storia stratificata di blocchi energetici che portano ad irrigidire la mente, l’immaginazione, il corpo, a causa di un malinteso senso dello sviluppo psichico e di evoluzione culturale. L’intelletto, la sua funzione logico-razionale, prende il sopravvento su tutto il sistema percettivo. Va in sofferenza la facoltà visionaria di una mente aperta e attraversata dal respiro dell’anima, connessa alla Totalità di cui è parte.
In epoca moderna l’arte ha ridefinito la sua idea di bellezza, svincolandola sempre di più dalla tradizionale concezione di armonia, equilibrio fra le parti, che proveniva dalla cultura classica della Grecia antica; svincolandola sempre di più dall’adesione espressiva al reale; e ancor più svincolandola dalla sede nell’oggetto.
La bellezza non è più, dunque, una qualità dell’oggetto. È la relazione tra il soggetto e l’oggetto. È un’esperienza soggettiva di partecipazione, una reazione individuale, intima, intensa e profonda al cospetto dell’oggetto, della sua fenomenologia. Non è logos, è pathos.
La ricerca artistica si orienta allora sull’arte del guardare, l’arte di creare bellezza attraverso la poetica dello sguardo. Stiamo parlando dello “sguardo” nel significato esteso di “percezione” e nel senso attivo di “immaginazione”, e di una coscienza che sopporta di destrutturare se stessa, nei suoi pregiudizi estetici, nei suoi giudizi morali, nei suoi confini egoici, per accedere a nuove consapevolezze.
È poesia dello sguardo, la sua apertura immaginativa e contemplativa, la visione che connette l’umano al mistero. Questa è la cifra distintiva dell’arte contemporanea: la declinazione poetica degli sguardi, tanti quanti sono gli occhi che guardano, nel percorso dal visibile all’invisibile, e alla sua rappresentazione tramite un linguaggio.


1. Simona Massa, “Salomè. Il disvelamento della bellezza.”, in Il seme della bellezza, E-venti, Atti del convegno, n.2, 2015.

 

– Il disvelamento dello sguardo nel mito di Salomè.

Esiste un mito che rappresenti simbolicamente l’inalienabile aspirazione umana alla visione della bellezza? Dalla notte dei tempi emerge la figura biblica di Salomè, la danzatrice.
Salomè: un’immagine di donna che vogliamo modernamente reinterpretare, spostando però l’ago del suo spettro simbolico da antico mito del potere seduttivo della femminilità a nuovo mito della purificazione dello sguardo: un processo alchemico di purificazione, dalla nigredo della cecità all’oro filosofale della visione illuminata.
Con Salomè la misoginia del cristianesimo raggiunge uno dei suoi picchi febbrili più elevati. Non si tratta di un’avversione nei confronti della donna come mater, ma in quanto materia: la carnale presenza di Salomè, la sua istintualità, non solo seduce, ma ricorda a Giovanni Battista che, nonostante la sua santità, è anch’egli “corpo”, “amabile e bianco come i gigli di un prato” oppure “orrendo come un lebbroso”, integro in vita o corrotto in morte.
La bellezza femminile, dunque, comportando il terrore di perdersi nel desiderio, non può aspirare a uno sguardo spirituale che non sia negazione della carne. L’occhio di Dio si chiude su di lei e la ripudia attraverso il Battista. La mortificazione della sensualità attiva l’ombra di un femminile vendicativo, trasformando un eros di vita in eros di morte. La figura di Salomè ammantata di questa nerezza percorre i secoli.
Ma adesso cercheremo di svincolare lo sguardo dagli schemi precostituiti di un’iconografia consolidata nei secoli ma eccessivamente condizionante. In che modo potremmo mettere in scena, ancora e nuovamente, lo striptease più famoso della storia del mondo?
Se leggiamo in modo testuale l’immagine di Salomè, sotto l’ultimo velo vediamo il più seducente corpo di donna. Ma se apriamo lo sguardo oltre l’orizzonte chiuso delle sue consuete traiettorie percettive, allora possiamo uscire dalla strettoia del rapporto uomo-donna, dall’eterno dramma della loro lotta di potere. Possiamo accedere al mistero dell’ultimo velo. Oltre il corpo della donna c’è il corpo del mondo, così come oltre il seno della madre c’è la sconvolgente pienezza della natura. È l’universo che si rivela in tutto il suo splendore simbolico. È lo spirito incarnato di quella Totalità a cui tutto e tutti appartengono e che si manifesta nella bellezza, nello stupore e tremore che suscita.
La danza di Salomè è nel mito ben altro e ben oltre che uno striptease. È un’antichissima danza sacra di iniziazione ai misteri, dove ogni “… svelamento indicherà la perdita di uno strato di illusione nel raggiungimento di una maggiore profondità spirituale”. Allude al processo alchemico della trasformazione psichica, che attraverso la metafora della successione cromatica porta la materia dalla nigredo, stato di massima disgregazione e caos, attraverso l’albedo, un nuovo inizio, fino alla rubedo, lo stato che precede la visione unificata, dotata di senso e di bellezza.
Le velature della coscienza possono essere innumerevoli. Dobbiamo anche ammettere che sarebbe impossibile vivere senza velatura alcuna, così come sarebbe impossibile sopravvivere senza difese psichiche. Occorrono buone velature. Ma a volte sono così rigide, spesse e pesanti che ci costringono ad abitare un corpo senza occhi.
Ma dobbiamo rientrare nella cornice del mito di Salomè. È arrivato il momento di affrontare il risvolto più raccapricciante della danza dei sette veli: la decapitazione che ne consegue. Quando cade l’ultimo velo allora cade la testa del Battista.
Per raggiungere l’unione con la Totalità bisogna “tagliare la testa”, ovvero sacrificare la dimensione del logos e dell’ego, che vive nei dualismi conflittuali della realtà. L’apollineo deve accettare di misurarsi col suo opposto, senza estromettere dall’Unità quel femminile dionisiaco su cui è proiettata l’ombra del male e del suo potere “caotizzante”. Anche il dionisiaco è una via di accesso alla spiritualità. La percezione intuitiva del mistero della bellezza richiede il sacrificio dell’intelletto e dell’illusione di controllo sulla realtà interna ed esterna.
Certamente la violenza del Sé è inaudita nel concepimento dell’offerta sacrificale. Sappiamo, però, che il linguaggio del mito è tragico e smisurato.
Dobbiamo tenere conto della progettualità del Sé ma anche delle esigenze dell’Io, che non può rinunciare del tutto alle sue istanze di controllo e di autodeterminazione. Possiamo mitigare l’angoscia di castrazione, il tratto è breve: invece che “tagliare” la testa, possiamo “togliere” la testa di mezzo, o meglio, dal mezzo, lasciare che accada, almeno ogni tanto.
Il seme della bellezza fatica ad attecchire in questo mondo. Come la neve, è di una sostanza caduca e impalpabile, è acqua che si scioglie nell’impatto col suolo. Una nascita difficile la presenza del femminile sulla terra, dei suoi valori: “non sta né in cielo né in terra”, sembra dire la storia del mondo. Non ha spazio nelle regioni dello spirito, non ha potere nella dimensione terrena. Quale luogo per il femminile? Quali luoghi per la donna? Qual è il luogo dell’anima?

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SIMONA MASSA

Psicologa, psicoterapeuta e psicologa analista junghiana (AIPA, IAAP).
Nella vita ho percorso parallelamente due sentieri, che rispecchiano le mie passioni principali e il mio processo di umanizzazione:
la psicologia del profondo e la scrittura.

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