“Si sta come d’autunno, sugli alberi, le foglie…”(G.Ungaretti, Soldati, 1918)

Giugno 2020

“Presente presente” (a cura di C. Albini Bravo),  in Rivista di Psicologia Analitica, Passato presente, nuova serie n.49, 2020.

Questo presente terribilmente presente: diciotto voci soliste di un unico coro. 

Per iniziativa di un’analista junghiana, Camilla Albini Bravo, un gruppo di colleghi, fra cui chi scrive, si sono incontrati online durante il primo lockdown (marzo 2020) per un lavoro di aiuto reciproco, dal momento che il “tremendo” che stavamo attraversando si stava abbattendo su tutti, sia pazienti che psicoterapeuti, e modificava in maniera sostanziale il nostro abituale assetto terapeutico nonché la visione del mondo, rendendo sempre più evidente la nostra condizione umana di foglie in bilico sull’orlo dell’autunno.

Da questo confronto è nata, nel giugno 2020, una pubblicazione corale, “Presente presente” (in Rivista di Psicologia Analitica, Passato presente, nuova serie n.49, 2020): “Nessuno scritto ha la pretesa di teorizzare – scrive Camilla Albini Bravo – il nostro intento era ed è quello di fissare i punti di un discorso che parte ora e cerca interlocutori” (Camilla Albini Bravo, op.cit., p.105).

Il valore della sequenza di scritti è l’immediatezza, l’aver attraversato questo presente terribilmente presente come fossimo cronisti che testimoniano la cruda esperienza impattante sulla vita, l’esserne travolti, e aver trovato dentro di sé e nella relazione gruppale, uno spazio sufficientemente libero per cominciare a “pensare” la pandemia.

 

Sedute sulla frontiera tra realtà e surrealtà nel tempo della pandemia

di Simona Massa Ope

(in “Presente presente”, a cura di C. Albini Bravo,  in Rivista di Psicologia Analitica, Passato presente, nuova serie n.49, 2020, pp. 181-195).

Estratto dall’articolo, ovvero la parte per il tutto:

L’isolamento sociale imposto durante il primo lockdown ha comportato una serie di ridefinizioni repentine del nostro modo di vivere e di lavorare, che ha coinvolto e travolto, potremmo dire, anche il setting del lavoro psicoterapeutico: per continuare a svolgere le psicoterapie dovevamo venire a patti con una modalità che sconvolgeva il nostro abituale campo relazionale, ovvero le sedute online:

[…] le immagini aiutano a guidare e a “informare” i processi psichici, e permettono di rappresentarci l’esperienza, dipanandola dalla nigredo iniziale, ovvero dalla confusività del caos emotivo. Infatti, per superare l’impasse del passaggio al collegamento online, sentii emergere dalla mia interiorità un’immagine molto semplice e naturale, che forniva il ponte tra il conosciuto e lo sconosciuto, un ponte percorribile per approdare a questa nuova modalità di lavoro. E via via la restituii ai pazienti: “Lei, il tal giorno a la tal ora (ho cercato, quando possibile, di conservare il giorno e l’orario consueti delle sedute), mi chiama al telefono, o si collega in videochiamata, o via skipe (a seconda della scelta concordata con ogni paziente), ed è “come se” suonasse il mio campanello. Io le risponderò “come se” le aprissi la porta.[…]

[…] Per fortuna la mente comprende il linguaggio della metafora e se ne nutre, quando non è finzione ma gioco, una disposizione autentica alla ri-descrizione della realtà, che permetta di abitarla e di non sentirla ostile ed estranea. La metafora è il linguaggio dell’anima. Quell’espressione, che è arrivata in maniera spontanea e non premeditata – si pensi all’interpretazione dei sogni in seduta, quando sale su dall’acqua profonda come un tappo di sughero e non dall’alto della mente – è arrivata mentre cercavo di aiutare ogni paziente a riorientarsi verso di me; essa rappresenta sicuramente una reminiscenza del gioco infantile, quando il come se domina la scena e rende possibile l’intreccio delle azioni e dei dialoghi, animando il mondo interno e relazionale. Eravamo nel gioco della seduta, non nella finzione o nel surrogato della seduta, e questo ci ha permesso di giocare. […]

Al principio,  il discorso psicologico, che ci stava impegnando da anni, sembrava andasse in blocco, come era andata in blocco la realtà, la vita:

[…] Che senso aveva parlare di problemi psicologici? Esistevano davvero questioni psicologiche in un momento dove la realtà si era contratta? Dov’era la vita, il mondo, il futuro? Cosa stavamo facendo? Che senso aveva il nostro incontro? Anche in questo caso la collusione era in agguato: anch’io come persona, come psicoterapeuta ero infettata dalla perdita di senso. Aveva senso il mio lavoro psicologico in questo momento? Aveva ancora un valore fuori dal consueto setting che definisce la cornice del lavoro analitico? […]

Come si poteva riconvertire l’energia psichica bloccata? Come si poteva rianimare la psiche nella situazione di sospensione in cui tutti trattenevamo il respiro in attesa che ‘là fuori’ la vita riprendesse a girare come una giostra? Occorreva testimoniare che, nonostante la minaccia del virus, noi avevamo comunque una vita psichica …

[…] le sedute online, benché fossero un sostituto provvisorio della seduta in persona, avevano questa funzione vitale, quella di non sospenderci nella non-vita, permettevano di venire a patti con questa istanza di morte, rilanciando la possibilità di attraversare l’esperienza traumatica presenti a sé stessi. Rientrare in contatto con il proprio mondo interno, scoprire di quali fantasmi si stava popolando. […] notai che i sogni dei pazienti cominciavano a commentare l’esperienza, “compensando” l’assetto della coscienza: a un vissuto di serenità e benessere corrispondevano sogni di catastrofi, terremoti, uragani; mi colpì particolarmente l’immagine onirica di un paziente che sognò la città di Pompei dopo l’eruzione del vulcano: eravamo noi tutti quel popolo incenerito e immortalato dalla lava nelle azioni più varie della vita quotidiana, mangiare, dormire, fare l’amore, come in una istantanea di morte che aveva consegnato la vita alla paralisi. Ci eravamo trasformati in statue di lava, a questo alludeva la sospensione psichica; come quel gioco antico di bambini, “le belle statuine” in cui al segnale dato tutti dovevano immobilizzarsi, qualunque cosa stessero facendo, e attendere un nuovo segnale per riprendere a muoversi, a vivere. […]

Tuttavia cosa accade del setting tradizionale nella psicoterapia online? Cosa implica questo cambiamento per il paziente?

[…] Implica reggere il lutto del contatto e preservarne in sé la memoria. La definizione della cornice relazionale dipende dalle teorie di riferimento. Dal mio punto di vista, ciò che è assolutamente inalienabile è l’assetto mentale del terapeuta: il baluardo inespugnabile del setting è la mente del terapeuta in atteggiamento analitico, ovvero simbolico. Innegabile, che nelle sedute online, per accedere alla possibilità di ritagliarsi uno spazio protetto e contenitivo nell’area del “come se fossimo realmente qui uno davanti all’altro”, occorre superare un primo momento di disorientamento e fare un passaggio adattativo, che attinge all’alleanza terapeutica, alla fiducia di base, e alla consistenza motivazionale di entrambi. Implica, inoltre, la rinuncia, da parte del terapeuta, all’adesione irrelata a un principio teorico assoluto, che non accetta di commisurarsi al principio di realtà, ai cambiamenti, difendendo un purismo incontaminabile che ha poco a che fare, a mio avviso, con una reale fedeltà allo spirito del profondo, ma che riflette più che altro il bisogno di conservare intatto lo specchio narcisistico. E, tuttavia, rimane una differenza, uno scarto, per alcuni tollerabile per altri intollerabile, che non può mai essere del tutto colmato. […]

Dal mio punto di vista di analista junghiana ogni crisi, personale o collettiva, esprime un suo finalismo individuativo. Come ogni sintomo, la pandemia contiene il suo sviluppo evolutivo. Come per ogni sintomo, dobbiamo tentare di disinnescare il suo potere distruttivo e contemporaneamente comprendere la sua prospettiva trasformativa.

[…] Questo però dipende dalla nostra responsabilità, da quanto saremo in grado di integrare in maniera realmente riparativa l’esperienza. Saremo in grado di accedere al momento depressivo della colpa e della vergogna di aver tanto distrutto la Madre? Non solo, dunque, la ripresa economica, non solo la vittoria della scienza sul virus, che rischiano, benché siano soluzioni attese e auspicabili, di rinforzare in maniera fine a sé stessa l‘onnipotenza dell’uomo, o meglio l’illusione di onnipotenza. Ma – insieme e oltre – soprattutto la capacità di dare un senso a questa storia, sia a livello di coscienza personale che collettiva, di fare di tutta questa grande paura planetaria un’occasione di vita, di inversione di rotta, di bilanciamento delle nostre cecità unilaterali, solo trasformando le nostre riflessioni e i nostri risvegli in azione politica, ovvero in cambiamenti della polis, del nostro vivere comunitario, e del nostro coabitare con la natura, con il pianeta, solo questo sviluppo individuativo della coscienza a livello filogenetico potrà non rendere vano quanto è accaduto.[…]

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SIMONA MASSA

Psicologa, psicoterapeuta e psicologa analista junghiana (AIPA, IAAP).
Nella vita ho percorso parallelamente due sentieri, che rispecchiano le mie passioni principali e il mio processo di umanizzazione:
la psicologia del profondo e la scrittura.

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