Pandemia e trasformazione. Un anno per rinascere

Marta Tibaldi, Simona Massa Ope

PANDEMIA E TRASFORMAZIONE. Un anno per rinascere

Moretti&Vitali, Bergamo, novembre 2021

        Le autrici descrivono che cosa hanno fatto di un tempo eccezionale come quello della pandemia da covid-19: più di dodici mesi che hanno sconvolto gli esseri umani, ma che hanno offerto, nel contempo, la possibilità di una riflessione e di una trasformazione profonda del proprio modo di essere e di vivere, aprendo a nuove visioni di sé e del mondo.

        Per entrambe le autrici il pensiero di C.G. Jung offre una duplice prospettiva interpretativa della crisi pandemica: da un lato la metafora dell’alchimia, dall’altro il finalismo psichico, due caposaldi teorici che permettono di orientarsi nella complessità globale che il mondo sta attraversando.

        Secondo Marta Tibaldi, la mappa alchemica delle trasformazioni psichiche coglie con grande accuratezza psicologica i dinamismi del trauma pandemico, offrendo gli strumenti per farne un’esperienza di rinascita.

        L’approccio di fondo di Simona Massa Ope è invece quello del finalismo psichico junghiano, secondo cui la pandemia può essere letta, sia a livello individuale che collettivo, come movimento compensatorio e progettuale orientato al cambiamento. Osservata da questa prospettiva, la pandemia indica molti sentieri trasformativi per una rinascita umana.


Simona Massa Ope

Estratto: ovvero la parte per il tutto


Abstract

L’Autrice percorre, attraverso una testimonianza meditata, i tre lockdown, elaborando temi e criticità emergenti: le ricadute della pandemia sul lavoro psicoterapeutico e analitico, l’effetto del trauma pandemico sul trauma di base del singolo individuo, la proiezione collettiva  della distruttività umana nei confronti del pianeta sulla distruttività del virus, i movimenti individuali di adattamento e resilienza, e infine le prospettive di rinascita affidate alla riaffermazione di valori negati, come la fragilità, il femminile, e a un comunitario riorientamento del vivere autenticamente anti-narcisistico.


Capitoli di Simona Massa Ope:
 “Tra realtà e surrealtà nel tempo della pandemia”, op.cit. pp.105-124.
“Distopia del presente, utopia del futuro”, op.cit., pp.125-138.
 “L’angelo sterminatore. Metafora di una visione profetica”, op. cit. pp.139-147.
 “Le parole fragili. La vecchiaia come valore”, op.cit., pp.148-157.
“Se questo è amore. Il virus della violenza patriarcale”. op. cit., pp.161-181.

Tra realtà e surrealtà nel tempo della pandemia (Simona Massa Ope)

        Al principio è stato solo sgomento. Era la sera del lunedì 9 marzo 2020, quando ascoltando il decreto del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in cui annunciava all’Italia il primo lockdown nazionale, misi a fuoco che tutto sarebbe cambiato da un giorno all’altro: la vita quotidiana, il lavoro con i pazienti, la normale percezione del mondo e degli altri esseri umani. Fino ad allora, nei mesi precedenti, le notizie sul nuovo coronavirus proveniente dalla Cina erano scorse nella mia mente in un binario parallelo a quello della vita consueta, pareva ancora una minaccia lontana. Ogni tanto dei flash facevano irruzione nella mente, catturando attenzione o destando preoccupazione, ma io ero, come tutti, dentro il mio treno quotidiano ad alta velocità. Poi un’accelerazione improvvisa ed ecco l’impatto, i binari si erano toccati: il tremendo era entrato nella realtà. Non è questo l’inizio di ogni tragedia umana? L’inatteso irrompe sulla scena e squarcia il velo dell’illusione: l’illusione di essere al sicuro nella prevedibilità degli eventi, nella proiezione sufficientemente certa del nostro futuro. Invece si è scoperchiato il cielo, questo cielo finito e infinito, che, con i suoi grigi nuvolosi e i suoi azzurri assolati, ci copre pietosamente la visione dell’Oltre o del Vuoto, come quando un adulto posa le mani sugli occhi di un bambino a protezione; e siamo di fronte all’ignoto e all’eterno mistero della vita e della morte.

        Sapevo che dovevo elaborare rapidamente una scelta: continuare a vedere i pazienti nonostante gli appelli e le normative sul distanziamento sociale – come professione di tipo sanitario ne avevo facoltà – o interrompere le sedute a data da destinarsi, con l’idea che la tipologia di lavoro basata sulla relazione e sul concetto di setting non potesse permettere compromessi di sorta, oppure avventurarmi nell’incognita di una ridefinizione inedita del lavoro psicoterapeutico, non avendo parametri di raffronto, esperienze pregresse: le sedute online.

        Come sempre, le immagini aiutano a guidare e a “informare” i processi psichici – sia nello specifico della psicoterapia come nella vita psichica in generale – e permettono di rappresentarci l’esperienza, dipanandola dalla nigredo iniziale, ovvero dalla confusività del caos emotivo. Infatti, per superare l’impasse del passaggio al collegamento online, sentii emergere dalla mia interiorità un’immagine molto semplice e naturale, che forniva il ponte tra il conosciuto e lo sconosciuto… (continua)

 

Distopia del presente, utopia del futuro (Simona Massa Ope)

          Kim Ki-Duk dichiarò di fare film “per tentare di comprendere l’incomprensibile”. In particolare, vorrei ricordare, in questo contesto, la sua poetica della violenza, della crudeltà, ma anche della pietà e dell’ascesi spirituale come risposta al problema del male che affligge l’animo umano, così come viene rappresentato nel film Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera (2003).

          Che tipo di corrispondenza si può cogliere tra le immagini durissime e raffinate, al contempo, di questa visione e la crisi epocale che stiamo attraversando? Come può aiutarci, questo film, a “comprendere l’incomprensibile” che stiamo vivendo?

        Come bambini incoscienti del male, abbiamo inflitto alla madre terra innumerevoli ferite. La coscienza collettiva è regredita allo stadio dell’onnipotenza narcisistica, mentre l’ego si batte il petto come un gorilla, esaltato dalle conquiste della scienza e della tecnologia. C’è una grande disarmonia tra sviluppo scientifico ed evoluzione spirituale nell’umanità.

        È lecito, a mio parere, rappresentare la pandemia da Covid-19 come un sintomo/segnale universale, che lancia un allarme non solo riguardo la minaccia che il virus rappresenta per l’intera popolazione planetaria, ma soprattutto, direi, riguardo la minaccia che il nostro modus vivendi collettivo rappresenta per noi stessi: la minaccia che arriva da fuori è lo specchio della minaccia che arriva da dentro, ovvero la nostra distruttività e auto-distruttività inconscia come esseri umani. (comtinua)

 

L’angelo sterminatore. Metafora di una visione profetica (Simona Massa Ope)

Nel cuore della terza ondata della pandemia da Covid-19 ho ripensato a un capolavoro assoluto del cinema surrealista, che vidi in una sala d’essai negli anni della mia giovinezza: L’angelo sterminatore, di Luis Buñuel Portolés, ispirato a un soggetto di José Bergamin  e uscito nel 1962 con una superba fotografia in bianco e nero.

          Non so se sia corretto attribuire all’opera un significato profetico, ma, retrospettivamente, non si può non realizzare un collegamento simbolico con l’attuale stato delle cose nel mondo.

          Ciò che mi ha riportato la mente al ricordo di questo film non è stato un pensiero cosciente, ma piuttosto una sensazione difficile da definire, nata dalla lunga percorrenza in questo buio tunnel della pandemia, più di un anno, in cui la resistenza delle persone è stata messa alla prova al di sopra di quanto potessimo immaginare: la sensazione di “non riuscire a uscirne”. Non è questa la metafora del film?

        La metafora profetica di Buñuel non riguarda ovviamente la pandemia in sé, ovvero la forma (coronavirus Covid-19) che ha preso nel qui ed ora del nostro presente, riguarda invece l’idea che un modus vivendi ideologicamente predatorio, fondato su un disordine spirituale – non religioso, spirituale – e su un radicale vissuto di superiorità rispetto al resto del creato, ad un certo punto scateni nel sistema un’azione-specchio con funzione trascendente, che sembra provenire non dalle aree della coscienza ma da quell’invisibile oceano di realtà su cui navighiamo, dalla surrealtà. Si manifesta qualcosa che, attraverso un’esperienza del tipo “la parte per il tutto”, ovvero di natura simbolica, sembra richiedere una trasformazione dello stato di coscienza: come un grande sogno collettivo, o nella fattispecie un incubo collettivo, un fenomeno collegato allo stato di realtà non da una determinante di tipo causale ma a-causale, il cosiddetto principio di nessi a-causali definito come “sincronicità”. (continua)

 

Le parole fragili. La vecchiaia come valore (Simona Massa Ope)

        Il tempo della pandemia ha indicato molti sentieri trasformativi da percorrere nell’imminente presente e nell’immediato futuro per una rinascita umana, se i sopravvissuti sapranno leggere i suoi segnali finalistici. Come “un dio sconosciuto”, la pandemia ha parlato attraverso le esperienze che ci ha imposto, tra cui, imponente, la perdita delle persone anziane a causa della loro fisiologica fragilità. Gli anziani sono stati i soggetti a rischio altissimo di morte per Covid-19, e dunque le vittime più numerose. Nessuno potrà dimenticare a Bergamo la sfilata notturna delle bare, portate via dalla città sui camion dell’esercito, senza un rito, senza il commiato dei parenti, senza fiori, senza preghiera, senza il pianto che accompagna gli addii umani. Lutti impossibili da elaborare, lutti congelati nel cuore di chi ha patito personalmente le perdite o di chi ha partecipato al dolore come essere umano.

          E se cogliessimo in quel tragico scenario una visione? Se questa immagine perturbante solo non fosse la necessità di un momento emergenziale? Se invece ci rispecchiasse, crudamente, non l’eccezione ma la regola, ovvero la consueta crudeltà con cui la nostra civiltà tratta il fine vita? (continua)

 

Se questo è amore. Il virus della violenza patriarcale (Simona Massa Ope)

Shamsia Hassani

        C’è un virus che uccide le donne di più, e soprattutto da molto più tempo, dell’infezione da Covid-19: è il virus della violenza patriarcale.

         Secondo i dati dell’OMS, una donna su tre durante il corso della sua vita subisce violenze di varie forme e gravità, e, come rivelano le statistiche, tra quelle che vengono uccise, otto donne su dieci conoscono il loro assassino, vale a dire che la maggior parte dei delitti che colpiscono le donne avviene nell’ambito dei rapporti affettivi e parentali. La famiglia e la coppia sono contesti ad alto rischio di violenza relazionale, in una vasta gamma che va dalle minacce alle vessazioni perpetrate di ogni genere, fino alla soluzione delittuosa: se questo è amore.

        A volte, troppe volte, le donne subiscono eventi di violenza macroscopica, ma “normalmente” una capillare rete di vessazioni e violazioni relazionali “sottili” determinano le interazioni tra i sessi e tra i generi, sia a livello personale che collettivo. È la violenza sommersa che non finisce sui giornali, perché non percepita, e non pervenuta, come reato.

                  Nella dimensione interiore delle donne troviamo la loro storia personale, il “gancio”, l’anello della catena che le unisce al loro maltrattante, ma troviamo anche la storia collettiva del mondo patriarcale e la storia collettiva di tutte le donne in tale mondo, compresa la simbolica della violenza relazionale sui soggetti “fragili” in questo mondo titanico, tra cui anche i bambini, gli animali, i diversi, gli anziani.

          Se, in quanto analisti, consideriamo il valore psichico dei miti, dobbiamo anche tenere conto del contesto storico in cui i miti si impiantano. Pertanto, la responsabilità soggettiva – che va senz’altro indagata, ma restituita alle pazienti finalisticamente, come un elemento trasformativo di restaurazione della loro sovranità, non di colpevolizzazione ulteriore – tale responsabilità, dunque, non può assorbire, neutralizzare e assolvere la colpa di un uomo che agisce la violenza su una donna. A Cesare quel che è di Cesare. Il discorso privato va ricondotto nell’ambito della polis: quel che Estia cura intimamente come ferita del femminile va riportato ad Atena che lo denuncia, argomenta e tratta nella pubblica piazza del mondo. (continua)

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SIMONA MASSA

Psicologa, psicoterapeuta e psicologa analista junghiana (AIPA, IAAP).
Nella vita ho percorso parallelamente due sentieri, che rispecchiano le mie passioni principali e il mio processo di umanizzazione:
la psicologia del profondo e la scrittura.

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